Abitare i confini. I romanzi di Tony Hillerman a cavallo tra generi e mondi

    Con il termine “giallo” si definisce un genere che possiede elementi precisi: primo fra tutti un oggetto narrativo definito dalla presenza di un crimine per cui si cercano risposte – rispetto alle cause dell’azione violenta, alle vittime o ai colpevoli. Nonostante i confini non siano definiti, è possibile suddividere il giallo in vari sottogeneri (poliziesco, thriller, noir) e addirittura incrociarlo ad altri generi (fantascienza, romanzo storico).


    Quando parliamo di gialli, e della tradizione dei gialli, le ambientazioni e le figure protagoniste che ci vengono in mente sono molteplici: ci sono i detective astuti e cervellotici, i poliziotti maledetti, gli intrecci tra politica e malavita, le rese dei conti tra famiglie, le storie d’amore tormentate. Ci sono le città – moltissime città – e poi c’è la provincia con i suoi sobborghi, ci sono auto rubate e appartamenti lasciati nel caos dopo essere stati abbandonati in fretta e furia, voli intercontinentali oppure treni che sfrecciano veloci. 

    Entrando in uno dei romanzi di Tony Hillerman, invece, tutto ciò che pensavamo di sapere sui gialli sembra svanire: ci sono rituali antichi, stregoni, ci sono credenze e misteri. C’è, soprattutto, un modo diverso di vedere il mondo, e quindi di risolverne gli enigmi, di affrontarne i dubbi. I romanzi di Hillerman compaiono sul mercato negli anni Settanta: è un tempo diverso dal nostro, in cui il punto di vista dell’autore appare eccentrico rispetto al genere in cui si muove. 

    La creazione del setting, la sua presentazione al lettore, rimane ancora oggi un primo elemento di fascino e insieme di grande scoperta. E non è paradossale sentire un senso di straniamento rispetto alla storia, ai personaggi, alle parole stesse che vengono usate da Hillerman. Sono le parole con cui i nativi parlano dei bianchi, o quelle che i bianchi usano per spiegarsi la cultura dei nativi: sono parole che separano, che delimitano un campo, ma che contemporaneamente cercano di definire, raccontare, dire. In mezzo a tutte queste parole c’è Joe Leaphorn, il protagonista dei romanzi: tenente della polizia, navajo cresciuto nella riserva e poi laureato in antropologia all’Arizona State University, Leaphorn si muove a cavallo tra due mondi, in cui non solo vigono consuetudini diverse, ma in cui il concetto di verità differisce, si complica, si frantuma.

    Questo scontro, questa frizione tra i mondi diventa ancora più evidente quando nelle vicende viene introdotto il personaggio di Jim Chee: giovane e appassionato sergente, Chee aspira a diventare sciamano e crede in tutti quei riti da cui Joe Leaphorn tenta di emanciparsi, staccarsi, da cui prova a frapporre una distanza.

    Nei romanzi di Hillerman il connubio di elementi propri del giallo (il crimine, la ricerca della verità, il mistero) e un’attenzione meticolosa alla rappresentazione della cultura dei nativi americani sembrano dare vita a un nuovo genere: un genere che combina il piacere tutto orizzontale dato dalla trama (il desiderio – fortissimo, nei gialli – di sapere cosa succederà) a un’esplorazione verticale e quindi in profondità che porta il lettore a interrogarsi sulla conformazione di un mondo dentro il mondo. Lo sguardo con cui ci si approccia alla letteratura di Hillerman è quindi uno sguardo vorace e insieme analitico, lo stesso con cui si esplora un altro prodotto culturale che affronta il tema della frontiera, ovvero la trilogia cinematografica ideata da Taylor Sheridan.

    Anche in Sicario, Hell or High Water e I segreti di Wind River la componente sociale delle storie raccontate accompagna e si muove di pari passo allo svolgimento della trama, evidenziando le caratteristiche di una convivenza difficile, portando alla luce una questione – quella coloniale – fondativa della cultura americana, con cui la cultura americana non sembra mai aver fatto davvero i conti. Il Texas, l’Arizona, il Wyoming per i film di Sheridan, l’Arizona, il New Mexico, lo Utah per i libri di Hillerman: di questi territori vengono raccontate delle zone solitamente in ombra, degli spazi tanto vasti quanto poco narrati, delle vite che spesso non rientrano nei registri, nei conti, nel cono di attenzione della storia e della giustizia. Parlare di frontiera vuol dire evidenziare il confine di una geografia non solo fisica, ma anche (soprattutto) mentale: abitando quella frontiera, i romanzi di Hillerman dicono il non detto, mettono in circolo parole non pronunciate, rivelano il nome delle cose.