Qualcuno l’avrà vista in The great hack, il documentario prodotto da Netflix che ripercorre la storia di Cambridge Analytica. E, una volta vista, è difficile dimenticarla: parole, gesti, persino quel modo di ridere, tra l’imbarazzo e la nevrosi, sono spiazzanti.
D’altronde Brittany Kaiser non è un personaggio qualunque, quantomeno per il ruolo che ha avuto nella storia recente: la storia quella vera, destinata a finire sui libri, che va dalla Brexit all’elezione di Donald Trump, con il filo conduttore di Cambridge Analytica. L’azienda, fallita poco dopo le rivelazioni che portarono allo scoperto il grande scandalo dei dati usati per targettizzare gli utenti, di cui Kaiser dirigeva i programmi di sviluppo: la seconda in linea dopo il grande capo, Alexander Nix, con cui vantava un rapporto speciale. Tanto che fu lei a incontrare Julian Assange, nel 2016. E fu sempre lei a prendere parte alla presentazione della campagna per il “Leave” (cioè la parte che voleva lasciare l’Unione europea) nei mesi che precedettero il referendum sulla Brexit.
Quando Kaiser ha deciso di parlare, insomma, aveva in mano abbastanza elementi per far capire davvero cosa stesse succedendo. Quegli stessi elementi che ha poi messo in fila, ordinato e spiegato nel libro La dittatura dei dati (in libreria il 24 novembre), una lettura particolarmente importante per chi vuole capire cosa sia accaduto in quei mesi ma anche cosa continua a succedere e come ci rendiamo “bersagli”, grazie alle informazioni che ognuno di noi dissemina in rete.
Ma chi è realmente Brittany Kaiser? Classe 1987, cittadina americana, nata e cresciuta nei dintorni agiati di Chicago, studentessa modello al liceo, Kaiser poteva essere avviata verso una delle più prestigiose università americane quando scelse di proseguire gli studi in Scozia, perfezionandosi poi a Hong Kong e al Birkbeck College di Londra, fino a conseguire un dottorato in filosofia presso l’università di Middlesex.
Aveva 20 anni ed era ancora immersa negli studi quando decise di prendere una pausa per fare la volontaria per la campagna elettorale di Barack Obama, allora senatore. Sulla spinta di quell’esperienza, si impegnò per i sette anni successivi nel campo dei diritti umani, lavorando anche come lobbista per Amnesty International. Di quell’epoca si trovano ancora tracce online, a partire dal suo stesso account Facebook (curiosamente, trasformato in un profilo pubblico ma non cancellato).
Nel 2014, Kaiser si avvicinò a Cambridge Analytica, tra i cui servizi c’era la capacità di “prendere di mira” le persone e influenzare i loro pensieri e comportamenti. A dispetto delle sue esperienze precedenti e di un dottorato in filosofia che avrebbe dovuto aiutarla a stare in guardia dalla seduzione di un potere così oscuro, iniziò a lavorare per l’azienda: aveva necessità di incassare per aiutare la sua famiglia, caduta in disgrazia con la crisi finanziaria del 2008, ha detto a posteriori alla stampa. E si dimostrò talmente capace da scalare tutte le posizioni.
Tuttavia, quando nel 2018, per primo, il data analist Christopher Wylie, appena 24enne, decise di raccontare quello che sapeva alla giornalista del Guardian Carole Cadwalladr, Kaiser scelse di seguirlo. Le sue rivelazioni sono state fondamentali per cercare di fare chiarezza in quello che realmente è successo in quei mesi e anni, dai contatti con Steve Bannon – l’eminenza oscura di Donald Trump – fino all’incontro con Julian Assange. Kaiser ha testimoniato davanti al parlamento britannico e ha collaborato con l’investigazione speciale di Robert Mueller sulle interferenze russe nell’elezione di Donald Trump.
Nel 2018, Kaiser ha fondato l’associazione “Own you data”, che fa lobbyng per una nuova politica nella gestione e nella sicurezza dei dati personali.