Gli sguardi di Dorothea Lange e delle altre fotografe
Una fotografia in bianco e nero ci mostra una donna con lo sguardo rivolto verso un punto collocato al di fuori della composizione; al suo fianco, due bambini incassano la testa sulle sue spalle, cercando riparo, conforto, un luogo sicuro. Il volto della donna è scavato da rughe d’espressione profonde: si intuisce che è giovane, ma anche che le difficoltà della vita hanno lasciato dei segni visibili sulla sua pelle. Chi guarda la donna da dietro la macchina fotografica? Quale sguardo riesce a ricostruire lo sguardo protagonista di uno degli scatti che meglio hanno saputo raccontare la Grande Depressione americana?
Dorothea Lange ha qualche anno in più del suo soggetto quando lo ritrae: sono gli anni Trenta, e insieme a Paul S. Taylor, suo secondo marito, sta svolgendo un lavoro di documentazione degli effetti della Grande Depressione nelle aree rurali del Paese. Per farlo, è partita lasciando a casa i suoi figli.
Incontrando tante donne che, nelle situazioni più estreme, continuano ostinatamente a prendersi cura dei propri figli, Dorothea Lange pensa: «Nelle ultime settimane, ogni volta che vedevo una donna prendersi cura dei propri figli sul marciapiedi o in un negozio, in cuor mio mi sentivo crollare, un pezzettino dopo l’altro. La verità era che mi piaceva lavorare sul campo. Avevo sempre in mente la fotografia, anche mentre mi occupavo dei miei figli. Sbagliavo? Mi stavo comportando da egoista? In tutta onestà, però, non riuscivo a immaginarmi diversa. […] Che razza di donna nutriva certi sentimenti?»
O almeno: questo è ciò che Elise Hooper immagina che Dorothea Lange possa pensare, scrivendo in prima persona, con la voce finzionale della fotografa, il romanzo La verità di un istante. Un romanzo, appunto, che parte dal dato biografico e lo trasforma in una storia: con un lavoro di mimesi, di impersonificazione assoluta, la scrittrice costruisce una narrazione letteraria e racconta la vita della fotografa dandole una voce, ricostruendone i pensieri e i sentimenti. E non è forse questo ciò che accade con la fotografia della donna e dei suoi figli scattata da Dorothea Lange? Uno sguardo che intercetta un altro sguardo e in qualche modo si innesta su questo: la costruzione di un triangolo di visione in cui una scrittrice guarda una fotografa che guarda una donna che guarda un punto nello spazio che a noi (lettori, osservatori, curiosi) rimane precluso alla vista.
Questo gioco di rifrazioni costella la narrativa degli ultimi anni, dando vita a dei romanzi che partono dal dato biografico e sconfinano poi nel terreno della finzione: c’è Gerda Taro raccontata da Helena Janeczek in La ragazza con la Leica, c’è Vivian Maier raccontata da Francesca Diotallevi in Dai tuoi occhi solamente, o ancora Lee Miller disegnata da Eleonora Antonioni in Trame libere o raccontata da Serena Dandini in La vasca del Führer.
È una genealogia di visioni quella che viene tracciata: una rete di narrazioni visive e letterarie, un insieme di storie. Donne che scrivono che raccontano donne che guardano il mondo: donne che, insieme, ricostruiscono un mondo nuovo in uno sforzo narrativo inedito, in un tentativo di ridisegnare e espandere i confini della narrazione dominante. Protagonisti di queste storie sono gli sguardi obliqui tipici di queste fotografe, che hanno saputo raccontare la crisi, la guerra, la ricerca dell’identità indagando gli interstizi del reale: cogliendo il quotidiano e l’ordinario nella tragedia, nell’orrore e nella disperazione. E infiltrandosi con un punto di vista laterale dentro una realtà roboante, nella Storia, nella geografia delle città.
Chi costruisce il racconto del mondo? Per molto tempo sono stati gli uomini a farlo: loro è stato il compito di inquadrare il reale in una cornice, di racchiudere in un’unità narrativa (che fosse un testo o un’immagine) la rappresentazione del mondo. Non è un caso che, quando Dorothea Lange decide di dedicarsi al suo mestiere, chi le sta intorno la giudichi: una cattiva madre, una donna che non sa stare al suo posto. Niente di questo la scoraggia: la sua determinazione è la determinazione di una donna che ha deciso di ritagliare un posto alla propria voce, al proprio sguardo. Una determinazione che sembra al centro, oggi, delle vite delle nuove generazioni di artiste, giornaliste, scrittrici, registe, fotografe, autrici: ed è forse per questa vicinanza che la storia di questa fotografa diventa anche quella di chi la racconta, la storia di Dorothea Lange diventa un po’ anche quella di Elise Hooper, e di noi che la leggiamo e insieme indossiamo i suoi occhi per leggere il mondo fuori.