Gli anni Novanta e le fanzine: intervista doppia a Enrico Brizzi e Alessandro Baronciani
Il termine fanzine si riferisce a una pubblicazione indipendente prodotta dagli appassionati di un particolare fenomeno culturale. Pochi sanno che le fanzine, che spesso colleghiamo agli anni Novanta, nascono in realtà negli anni Quaranta. Il termine fanzine è infatti stato coniato da Russ Chauvenet nel 1940, in riferimento a una rivista amatoriale di fantascienza. Prodotte clandestinamente tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Unione Sovietica con il fenomeno dei samizdat, le fanzine vengono nuovamente riutilizzate come strumento politico nel 1968, per trasformarsi durante gli anni Settanta in riviste amatoriali di stampo psichedelico e riprese poi dal movimento punk. Un’epoca d’oro per le fanzine sono però proprio gli anni Novanta, quando si legano indissolubilmente al mondo del fumetto, propagando sotterraneamente molti fenomeni della contro-cultura di quell’epoca.
È impossibile parlare dell’Italia degli anni Novanta senza citare Enrico Brizzi, autore del romanzo culto Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ma Jack Frusciante è tornato, con il suo seguito, intitolato Due, che riprende la storia di Alex e Aidi nel momento in cui li avevamo salutati trent’anni fa. Insieme a Due, Enrico Brizzi e Alessandro Baronciani hanno realizzato una fanzine e qui ci raccontano come è nato questo progetto, che voi lettori state amando.
Qual è stato il momento più divertente del tornare a progettare una fanzine?
ENRICO BRIZZI – In realtà è stata un’idea abbastanza naturale, perché tanto Barontch quanto io siamo cresciuti con quel tipo di mitologia early 90s a base di musica, e dunque con quel genere di comunicazione autoprodotta, dove la musica era centrale per riconoscersi fra anime simili, una comunicazione che arrivava dal basso e si faceva con carta, pennarelli, forbici e colla. Esistevano centinaia di fanzine solo a Bologna, e la prima cosa che facevi quando eri in trasferta in un’altra città era trovare il negozio di dischi o la libreria giuste, dove potevi procurarti qualche “prodotto tipico” della fanzinerìa locale. In breve, quando abbiamo pensato con l’editore a un contenuto speciale da abbinare a “Due”, che è ambientato proprio nel 1992-1993, ci è venuto spontaneo pensare a dare corpo alla fanzine che avrebbero potuto creare il vecchio Alex e i suoi amici, raccolti nella oscura band “Le anatre di Central park”.
ALESSANDRO BARONCIANI – Mai smesso di progettare Fanzine! Facendo fumetti ogni tanto mi piace stamparmi delle cose in proprio. Dai libri in scatola ai racconti di 12 pagine. Alle volte cose più sperimentali, altre volte soltanto perché hai bisogno di vedere la tua storia a fumetti da sfogliare con le mani! Per Stagione Elettrica è stato ancora più divertente perché la progettazione doveva dare l’idea di qualcosa che veniva fatto a mano, con il solo ausilio tecnico della fotocopiatrice, del taglierino e della colla. Come si faceva una volta, prima che arrivassero gli alieni dallo spazio a portare Quark Xpress, gli scanner e i computer.
Perché delle varie peripezie di Alex, avete scelto parlare del suo interrail?
ENRICO BRIZZI – Perché il primo viaggio fra amici è un’epopea iniziatica, che ha inizio con un “Poffarre, andremo tutti dal primo all’ultimo!”, e si trasforma lentamente in Dieci piccoli indiani.
ALESSANDRO BARONCIANI – L’idea della fanzine non era quella di parlare delle peripezie di Alex, ma quella di “immaginare” una vera e propria fanzine scritta e fotocopiata da Alex -in persona- nell’anno del suo interrail! È stato molto divertente costruirla partendo da questa idea. Un po’ come realizzare un falso storico! Non avevo idea di cosa avrebbe parlato la fanzine. Enrico aveva tanto materiale che non è riuscito a far entrare tutto nel libro e quando mi sono arrivate le pagine via email ho scoperto che parlava di interrail! Una specie di Google Map degli anni novanta dove per vedere i luoghi in giro per l’Europa andavi in stazione, scrivevi la destinazione e ti trovavi in quel posto la notte dopo. Adesso apri il browser e butti l’omino giallo, una volta c’era l’Intercity “Settebello”.
Qual è la prima fanzine che avete letto?
ENRICO BRIZZI – Ero un bambino, ma ricordo certe delizie che portava a casa mio zio nella Bologna tardi ’70, fanzine sulle quali si parlava della scena locale, in testa a tutti Skiantos e Gaznevada, ma si parlava anche di libri, fumetti e teatro. Un mondo affascinante, insomma, nel quale ti veniva voglia di curiosare. È servito arrivare a 16 anni per dare vita alla mia prima fanzine, che si chiamava “Perle ai porci” ed è andata avanti su base mensile per due anni (scolastici) interi.
ALESSANDRO BARONCIANI – La prima Fanzine, quella del cuore, è stata AbBestia di Andrea Pomini, non so se veramente è stata la prima che ho letto però è quella che per spirito, stile, scrittura era tutto quello che volevo leggere di musica indipendente italiana quando avevo vent’anni. Poi vediamo, tra le prime, sicuramente ci sono state quelle fatte alle superiori. Piccoli esperimenti a fumetti realizzati insieme ai miei amici della scuola D’Arte d’Urbino. Si chiamava Niente da fare e il primo numero c’erano solo disegni di Topolino totalmente ridisegnato e re-interpretato. A Pesaro altri amici che frequentavano lo scientifico stampavano, anzi meglio scrivere fotocopiavano, La Scintilla. Dentro c’erano articoli di musica e spesso le copertine erano dei cut-up rubati da Akira. A casa ne ho ancora qualche copia insieme a tante altre fanze collezionate durante gli anni. Anche con gli Altro, la band dove suono, per un periodo avevamo provato a scrivere una sorta di report/diario di viaggio dei concerti in giro per l’Italia. Volevamo allegarla ai nostri dischi. Si doveva chiamare: Stefano, ma questa è wave? Ma scrissi soltanto io qualche pagina, che decidemmo comunque di mettere dentro il nostro primo sette pollici.
Com’è stato lavorare insieme (la sincerità è obbligatoria!)?
ENRICO BRIZZI – Abbiamo stabilito il da farsi durante una lunga telefonata; ero con mia figlia Flora su una corriera in viaggio da Vicenza ad Asiago, e in capo a un’ora è stato tutto chiaro. Nei giorni successivi ho creato il menabò, Barontch mi ha passato le illustrazioni, ed è iniziato uno scambio fitto e divertente, nel quale ho trovato anche il modo di inserire un cruciverba rock in stile tardo-adolescenziale, una cosa inutile ma stilosa che sarebbe stata perfetta su “Perle ai porci”.
ALESSANDRO BARONCIANI – È stato magnifico: Enrico Brizzi è stato per me il primo taglio nei jeans, la prima cassetta con musica che non conoscevo, la camicia a scacchi, la scelta di tagliarsi i capelli da solo – per non so quale precisa idea di sottocultura giovanile a cui sentivo di appartenere – o farli crescere selvaggi. Se ho avuto la possibilità di definire emozioni che a vent’anni non conoscevo, come gioie immotivate o depressioni spontanee, che appartengono alla mia generazione lo devo a lui.
Quale potrebbe essere oggi l’oggetto di una fanzine anni 2020?
ENRICO BRIZZI – Oggi tutta quella urgenza di comunicazione spontanea che stava alla base della “sbatta” di creare una fanzine trova facile sfogo nella Rete. La fanzine non può competere con la Rete per immediatezza; può invece farlo con profitto dal punto di vista estetico e dei contenuti, rispolverando la tradizione dei “numeri unici”, riviste “one shot” più o meno incentrate su un tema, destinate a un pubblico con un debole per il collezionismo fisico. Il che non significa “ai cinquantenni”: fra vinile e libri cartacei, i ventenni dotati di bonus cultura sono la nuova frontiera del collezionismo.
ALESSANDRO BARONCIANI – Intendi una fanzine scritta durante il lockdown? Uhm, faccio fatica a immaginarla. Però se penso alla graphic novel Hicksville di Dylan Horrocks, la città più grande al mondo dove esiste una biblioteca/faro dove sono custodite tutte le fanzine del mondo, comprese le mie, ristampate nel libro Una storia a fumetti, e adesso anche il secondo numero di Stagione Elettrica, sono sicuro che ne potremmo trovare molte. Basta solo immaginarle per trovarle.