Jim Acosta, il giornalista che ha sfidato Trump

Un maleducato, un nemico del popolo e una vergogna per la Cnn, l’emittente televisiva per cui lavora: così Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, ha definito Jim Acosta. Non male come biglietto da visita, se non fosse che il giudizio è poco attendibile: Acosta è infatti soprattutto il giornalista che non dà tregua alla Casa Bianca, fino al punto di esserne allontanato e di dover far ricorso a un giudice per potere svolgere il proprio lavoro. Tutta colpa dell’abitudine a fare domande senza sconti. E, forse, anche della sua storia personale.

Figlio di un esule cubano arrivato negli Stati Uniti bambino,  Acosta – 48 anni – nell’autunno del 2018 stava chiedendo al presidente perché durante la campagna elettorale avesse descritto la carovana di migranti in arrivo dal Centro America come composta da individui pericolosi pur sapendo che si trattava invece di disperati in fuga dalla miseria, quando Donald Trump ha perso le staffe come mai prima. Di fronte a decine di altri corrispondenti, lo ha attaccato in modo frontale e personale, definendolo «nemico del popolo» e «una persona terribile». Avrebbe potuto finire lì, se non fosse che, dopo avergli tolto il microfono e impedito di parlare oltre, i servizi di sicurezza hanno ritirato ad Acosta il pass di accesso alla Casa Bianca. È dovuto intervenire un giudice federale, sotto richiesta della Cnn, per sancire, contro il volere del governo, che al giornalista dovesse essere consentito di fare il proprio mestiere.  Un unicum nella storia americana: e anche per questo il nome di Acosta è diventato noto in tutto il mondo.  

Uno degli scambi tra Jim Acosta e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

Quello che Trump ha definito nemico del popolo, dunque, non è che un cronista agguerrito e per nulla intimorito dai modi di un presidente che non solo attacca la stampa nel suo complesso, cercando di screditarla, ma toglie la parola a chi racconta bugie e incongruenze del commander in chief
D’altronde Trump non è il primo presidente, americano e non, cui Acosta in venti anni di servizio chiede conto delle proprie azioni. Dopo aver iniziato a lavorare per emittenti locali, nel 2001, a 30 anni, il giornalista venne assunto dal network Cbs. Da quegli schermi Acosta seguì le elezioni presidenziali del 2004 – Kerry contro Bush, vittoria del secondo – per poi spostarsi alla Cnn, dove si occupò della sfida interno al partito democratico tra Hillary Clinton e Barack Obama, e successivamente della presidenza Obama. È proprio a questi che nel 2015, con un’espressione particolarmente colorita, chiese cosa stesse realmente facendo l’Amministrazione per sconfiggere l’Isis: «Perché non andiamo a prendere quei bastardi?», incalzò il presidente che sembrava fare melina sul tema. Obama non apprezzò la domanda, ma rispose comunque educatamente, come nel suo stile. 

Acosta alzò il tirò nuovamente nel 2016, quando si trovò alla conferenza stampa congiunta di Obama e del presidente cubano Raul Castro, in occasione dello storico viaggio degli americani sull’isola dopo mezzo secolo di gelo tra le due nazioni. A Castro, il giornalista della Cnn chiese conto delle violazioni dei diritti umani a Cuba, e segnatamente della detenzione in carcere di prigionieri politici. Infuriato, il leader socialista rispose: «Se ci sono prigionieri politici, mi dia una lista. Adesso. Di quali prigionieri parla?». Di nuovo, l’imbarazzo del presidente americano non fu poco, ma Acosta ebbe il merito di non tacere su questioni scottanti, riaprendo un dibattito internazionale sul tema. 

Un anno dopo, Trump già insediato alla Casa Bianca, Acosta fece intuire alla nuova Amministrazione che non sarebbe stato tenero nemmeno con loro. In particolare sul trattamento riservato ai migranti, e sulla criminalizzazione dei più deboli. «La politica del presidente non sembra in continuità con i valori americani», disse pubblicamente il giornalista in un incontro con uno dei consiglieri di Trump mentre dilagava il dibattito sul Muro per arginare l’afflusso di persone da Sud. «Non dimentichiamoci che la Statua della libertà dice: A me date i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi». 
Il riferimento è al poema inciso sul piedistallo della statua, icona dell’America e dei suoi valori migliori. 
Quei valori che il cronista Acosta difende coraggiosamente, dimostrando con il proprio lavoro che sono altri quelli che provano a calpestarli, come racconta Il nemico del popolo, il libro appena pubblicato sulla turbolenta relazione tra l’uomo più potente del mondo e i cronisti che esercitano il doveroso diritto di controllo del potere e dei potenti. E se la lotta per la verità gli ha procurato parecchi nemici a Washington, per molti, dentro e fuori alle stanze del potere, è diventato un modello in tempi difficili per l’informazione.