di Antonio Forcellino
Una cortigiana originaria di Cremona fa il suo ingresso nella vita di Leonardo circa 300 anni dopo la morte dell’artista, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, quando anche in seguito alle spoliazioni napoleoniche la figura di Leonardo da Vinci si impone all’ammirazione sempre crescente del pubblico europeo. Fu allora che a Milano, Giuseppe Bossi, un artista che dedicò molti studi a Leonardo, annotò nei suoi scritti, e fece circolare a voce, la notizia di un documento visto da una persona “molto autorevole” che registrava gli incontri amorosi e molto soddisfacenti avuti dall’artista con questa cortigiana.
La notizia poteva avere un fondamento credibile dal momento che proprio a Milano nella Biblioteca Ambrosiana si conservava uno dei codici più importanti del genio vinciano, però il documento non è mai esistito. Nonostante l’infondatezza documentaria della notizia, la sua divulgazione aiutava a risolvere uno dei problemi che assillava le élite culturali del tempo, e che continuerà ad assillarle anche per i due secoli successivi: quella vistosa omosessualità dell’artista non solo esibita in vita ma filtrata nella sua arte fino a creare profondi imbarazzi in alcuni critici. Destava inquietudine in maniera particolare il dipinto di San Giovanni, oggi al Louvre di Parigi, nel quale Leonardo ritrae un adolescente (forse il suo amato collaboratore Salai) in maniera così ambigua da evocare piuttosto la promessa di piaceri sensuali che la venuta di Cristo sulla terra.
Questo dipinto rimase al centro di un dibattito imbarazzante per molti critici cattolici che non vi vedevano affatto quella devozione angelica che si sarebbe voluta leggere in un ritratto del Battista. L’ambiguità fortemente androgina del Santo non poteva passare inosservata agli occhi degli intenditori e cultori di Leonardo che vi leggevano il manifesto di una passione omoerotica esibita con compiacimento. Le fonti scritte poi testimoniavano della vita molto libera che Leonardo, grazie al proprio talento, aveva imposto alla società contemporanea. Purtroppo i tempi molto cambiati rendevano la libertà del Rinascimento italiano insopportabile ai moralisti ottocenteschi, tesi a costruire anche attraverso l’arte un insegnamento di rigore morale e di rispettosa devozione alle regole sociali.
Ecco allora che l’invenzione di questa figura femminile da parte di autorevoli studiosi leonardeschi aiutava a distrarre l’attenzione non solo dalla pratica omosessuale di Leonardo, ma anche dall’ambiguità della sua arte. La voglia di moralizzare Leonardo da Vinci non si placa neppure nel XX secolo quando Leonardo diviene uno strumento di propaganda del genio italico tra le mani del Fascismo e sulla sua condotta morale viene steso un prudente velo. Perfino uno studioso di grandissima levatura come Carlo Pedretti alla fine del Novecento non rinuncia a ritirare fuori questo inesistente documento pur di recuperare Leonardo a una gioiosa pratica libertina ed eterosessuale che, chissà perché, renderebbe più accettabile e meno eversivo il suo immenso talento.
Si può addirittura su questa base (fantasiosa) ipotizzare che la denunzia per sodomia a carico dell’artista recapitata agli ufficiali fiorentini nel 1476 potesse essere il frutto di un’invidia da parte di colleghi cattivi (un’opzione richiamata anche nella serie tv). Non stupisce che con tali precedenti la bella Caterina sia stata resuscitata dalla Fiction per moralizzare Leonardo e la sua vita trasgressiva e tutt’altro che noiosa. Così come lo abbiamo visto nella produzione Rai (che per il grande pubblico purtroppo è ancora garanzia di attendibilità storica) Leonardo appare un uomo timido, incerto e combattuto nelle sue aspirazioni personali e artistiche, ma soprattutto appare (come lo avrebbero voluto Bossi e i moralisti ottocenteschi) desideroso di una vita “normale” e di un congiungimento sentimentale, se non fisico, con la bella Caterina. Questa visione è molto al passo con i tempi perché negare oggi l’omosessualità di Leonardo sarebbe stato improponibile, visti i tanti documenti che la attestano, mentre avvolgerla in una dimensione di conflitti e tormenti appare più credibile e accettabile.
Per fortuna siamo certi che nessun conflitto di questo tipo ha afflitto la vita libera di Leonardo, il cui grande merito (oltre l’immensità del talento artistico che non emerge dalla Fiction) fu quello di piegare il mondo intorno a sé proprio grazie al suo talento e al suo spirito acutissimo, ritagliandosi spazi di libertà esistenziale che sono ancora oggi problematici per le società occidentali.
L’unica famiglia a cui Leonardo aspirò fu la famiglia degli affetti e dei legami creativi, stretti con i propri allievi che lo assistettero fino alla morte. A tale riguardo, per chi avesse la memoria corta e lo spirito obnubilato dai pregiudizi, è bello ricordare la lettera con la quale il suo allievo più affezionato e dotato, Francesco Melzi, comunicò ai fratelli (che lo avevano tormentato fino all’ultimo giorno) la scomparsa di Leonardo, dandogli conto della esigua somma di denaro lasciatagli dall’artista sul conto fiorentino e concludendo che per loro “altro non c’era”, intendendo con questo che l’immensa eredità spirituale e materiale di Leonardo apparteneva agli uomini con i quali aveva scelto di condividere la propria esistenza. E non importa ai nostri occhi (non deve importare) fino a che punto quell’esistenza si spinse nell’intimità carnale.
Antonio Forcellino è architetto, scrittore e restauratore. Per HarperCollins ha pubblicato Il secolo dei giganti, una trilogia dedicata alle grandi figure del Rinascimento.
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