ll fratello del famoso Jack: Intervista a Claudia Durastanti
Nella postfazione al romanzo di Barbara Trapido, Rachel Cusk scrive: “Lessi Il fratello del famoso Jack mentre studiavo all’università. Mi spalancò le possibilità insite in una voce narrativa femminile e contemporanea.” Non una cosa da poco, insomma.
Le prime pagine di Il fratello del famoso Jack sollevano in chi legge una domanda immediata: ma dov’era questo romanzo, fino ad adesso? Pubblicato per la prima volta nel 1982, il romanzo di Barbara Trapido arriva solo ora in Italia nella traduzione di Claudia Durastanti. E lo fa come un uragano: trecento pagine che offrono un ritratto delizioso, spietato e brillante di una classe sociale, quella degli intellettuali inglesi di fine Novecento, e dei rapporti (di vicinanza, di potere, di fascinazione, di scambio e di scontro, anche) che Katherine, la giovane protagonista, intrattiene con questo mondo. Abbiamo fatto tre domande a Claudia Durastanti per guardare il romanzo attraverso gli occhi di chi ha lavorato alla sua traduzione.
Quali autori, autrici, romanzi ti sono venuti in mente mentre traducevi il romanzo di Barbara Trapido? Con quali altre narrazioni (oltre ai libri, film o serie tv) risuonava?
Per il modo in cui Trapido analizza i rapporti di classe nel contesto di relazioni sentimentali è stato inevitabile pensare a Sally Rooney, ma Trapido ha molta più ironia, e in questo senso l’ho sentita più vicina a Naoise Dolan di Tempi eccitanti, un’altra autrice che ho tradotto di recente. Poi ho pensato a Muriel Spark, Tessa Hadley e a uno dei miei film del cuore: Working Girl (Una donna in carriera) di Mike Nichols del 1988. Ecco, in generale Trapido mi sembra vicinissima al cinema di Nichols.
Una cosa divertente e una cosa difficile in cui sei incorsa mentre traducevi.
È stato molto complicato tradurre espressioni idiomatiche ormai scomparse dall’inglese britannico, la protagonista ha un punto di vista irriverente che adotta spesso modi di dire tipici della saggezza popolare e li ho dovuti reinventare. La cosa divertente è stato inserire la parola «squinzia» per istinto, temendo che fosse fuori da quella fascia temporale anni Settanta, e invece la prima occorrenza in lingua italiana popolare è in Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, quindi era perfetto.
Il romanzo di Barbara Trapido è uscito nel 1982. Traducendolo per lettrici e lettori del 2023, quali aderenze con il contemporaneo hai trovato, e quali distanze (se ne hai viste)?
C’è una maggiore disinvoltura nell’occuparsi di tematiche come le relazioni sentimentali, la maternità o la sua assenza e la scoperta del potere intellettuale di una donna senza assolutizzare nessuno di questi temi, e orchestrandoli in un registro più vasto di esperienze. Ho trovato fulminante questa freschezza, questa disinibizione. Per il resto, è un documento fortissimo del suo tempo per quanto riguarda la borghesia intellettuale di sinistra nella società britannica, dove i compagni (e non sono lì) sono incredibili misogini e sessisti. L’apparente condiscendenza di alcuni personaggi rispetto a questo stato di cose può suonare un po’ lontana, ma mai inconcepibile o misteriosa.