Maestra di giovinezza

Elisabetta Rasy racconta Etty Hillesum: la Storia, l’Olocausto e noi

Può avvenire un’inaspettata magia nell’incontro con l’autobiografia di qualcuno che è vissuto prima di noi; un accordo, una consonanza che, imprevista, ci porta a rispecchiarci nella vita di qualcuno che non abbiamo mai conosciuto se non attraverso le parole. È quello che è accaduto a Elisabetta Rasy leggendo il diario di Etty Hillesum: un incontro che ha segnato la sua vita, e che ora viene raccontato – con dolcezza e delicatezza, le stesse che si riservano al racconto di una storia d’amicizia – nel romanzo Dio ci vuole felici, che inaugura Scrittori/scrittrici, la nuova collana di HarperCollins Italia i in cui autrici e autori di oggi dialogano con autrici e autori del passato.

E di questo si tratta, di un dialogo tra presente e passato: un dialogo che avviene sempre in assenza: tra Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel pieno dell’inverno del 1943, e Elisabetta Rasy, nata al termine dell’estate del 1947 neppure un momento di condivisione dello stesso mondo è avvenuto. Le due scrittrici non si sono sfiorate, eppure quando Elisabetta Rasy legge i diari di Etty Hillesum ecco che avviene il riconoscimento: «la ragazza Etty, nata molti anni prima di me e morta in modo atroce prima che io nascessi in un mondo infinitamente più accogliente del suo, mi è sembrata l’amica perfetta, la maestra di giovinezza che avrei voluto avere vicino in quegli anni in cui bene o male si decide la forma che prenderà la vita».

Un aspetto che non smette mai di toccare chi si trova di fronte alle storie di donne e uomini rimasti vittima dell’Olocausto è l’estrema somiglianza che intercorre tra le nostre e le loro vite. Se si potesse espungere l’orrore (le leggi razziali, la segregazione, le deportazioni, lo sterminio, le milioni di vite cancellate) ci troveremmo di fronte a esistenze che in nulla differiscono dalle nostre. Esistenze guidate dalla curiosità, dall’amore, dalla paura talvolta. E da una fame autentica di futuro, quella che caratterizza ogni storia di giovinezza. Il titolo di maestra di giovinezza che Elisabetta Rasy attribuisce a Etty Hillesum è un buon punto di partenza per cercare di rievocare la figura di quest’ultima: una ragazza indipendente, spinta dall’ardente desiderio di scrivere per sbrogliare il gomitolo aggrovigliato del suo cuore, divisa tra un amore confortevole e rassicurante, quello con Pa Han – il padrone della casa in cui la ragazza vive ad Amsterdam, in una camera affacciata sulla piazza del Rijksmuseum, uomo con cui divide le notti ma non spartisce i giorni, passati invece a studiare, leggere, scrivere – e tra un amore travagliato, fatto di attrazione profonda e insieme desiderio di lontananza e indipendenza, quello vissuto con Julius Spier, lo psicochirologo di Berlino di cui Etty è paziente, intima amica, amante.

Le parole con cui  Etty Hillesum racconta i propri desideri, il sesso, l’intimità, sono parole prive di reticenza o pudicizia: c’è, nella sua scrittura diaristica e autobiografica, sempre una spinta alla chiarezza, una vocazione al pubblico, un apertura verso l’esterno. Ed è questo, secondo Elisabetta Rasy, il fascino delle scritture private, quelle grazie alle quali conosciamo così intimamente le esperienze di donne e ragazze che non sono sopravvissute all’Olocausto, ma che sono diventate presenze nitide nelle nostre vite: si pensi ad Anna Frank e al suo diario, una chiave d’accesso per molte e molti studenti che sono riusciti, tramite le confidenze che la giovane Anna ha affidato alle pagine del suo diario, a rivivere una storia nella più grande Storia, a dare un volto, una profondità, uno spessore a quella che non è più solo una vittima, un’individualità persa in una quantità spaventosa di altre individualità spezzate dall’Olocausto, ma è a tutti gli effetti una persona.

Il valore della testimonianza, nell’affrontare lo studio e il ricordo dell’Olocausto, è da preservarsi e custodire: soprattutto in questi anni in cui gli ultimi sopravvissuti allo sterminio, le ultime voci in grado di tramandare la propria esperienza, stanno pian piano morendo. Cosa rimarrà di tutto questo? Ci saranno le lettere e i diari e le testimonianze scritte; ci saranno tutte quelle persone che, come Etty Hillesum, Anna Frank e Charlotte Salomon (autrice di un grande libro di parole e più di mille disegni a tempera in cui racconta la sua giovinezza e l’epoca feroce in cui l’ha vissuta, intitolato Vita? o Teatro?) hanno lasciato una traccia scritta del loro passaggio sulla Terra.

Ci saranno delle vite: così vicine a noi che possono quasi sembrare degli specchi: come non ci si può non ritrovare nel racconto che Elisabetta Rasy fa di  Etty Hillesum, nel momento in cui la coglie alle prese, per esempio, con il proprio corpo, con le insicurezze derivanti dalla forma del suo seno, con la quotidianità dei suoi problemi di ragazza che mai raggiungerà i trent’anni? E poi ci sarà il momento in cui la Storia arriva e rompe quegli specchi: i treni, i campi, la disumanizzazione, la morte. Gli specchi che rimangono incrinati per sempre: e noi che, tentando di ricomporre l’immagine di chi sta dall’altra parte, vediamo riflessa la nostra, piena di crepe, fratturata, scomposta.