Scrivere è femmina. Vita e memoria di Christine de Pizan

«Chiedimi, scrivimi, perché poi non sarà più possibile. A cancellarci non è quello che non ricordiamo, ma quello che non ricordiamo di chiedere», afferma la narratrice di Un giorno, una donna rivolgendosi alla figlia Marie, in una delle prime lettere che compongono la biografia romanzata di Christine de Pizan, nata a Venezia nel 1364 e cresciuta alla corte francese, figlia del medico e astrologo Tommaso da Pizzano e vissuta a cavallo tra due secoli, nel bel mezzo della Guerra dei Cent’anni.

Per ricostruire la vita straordinaria di questa donna, fra le prime umaniste d’Europa, scrittrice di professione e biografa di Carlo V, Nicoletta Bortolotti sceglie la forma epistolare: una serie di lettere che Christine invia nel 1418 alla primogenita, in convento a Poissy, per lasciare una traccia deformata e deformante della sua vita: «la cronologia esatta e insieme insicura dei nostri respiri». Alla cronologia delle lettere scritte in prima persona si affiancano le parti in prosa che compongono le cornici, alcune citazioni tratte dalle opere, i versi di un componimento di Natalia Ginzburg intitolato Memoria e, solo apparentemente secondarie, la Nota dell’autrice e la bibliografia essenziale consultata.

Un quadro ricco, articolato, denso, che restituisce la complessità di una figura che in anticipo sui tempi, quando «Dama Scrittura» non perdonava «a una donna di essere donna, ancora meno di essere madre», è stata scrittrice prolifica e madre di tre figli, vedova ad appena ventisei anni dopo l’improvvisa morte del marito, laica di spirito e animata da un forte senso di giustizia e libertà. Una donna che all’inizio del 1400 ha costruito un’intera città di parole dedicata alle donne (La città delle dame) per smentire l’idea diffusa secondo cui il comportamento femminile fosse sempre vizioso. E prima ancora una bambina, avviata alle lettere per volere paterno, che ad appena quattro anni si ritrova davanti la sterminata biblioteca di Carlo V, «la belle assemblée des notables livres», e ne rimane folgorata. 

Nel raccontare alla figlia la sua vita, Christine –  la Christine immaginata dall’autrice – si muove avanti e indietro attraverso i tragitti della memoria, che sono anche i tragitti compiuti da Fortuna, che talvolta «spinge la ruota verso l’alto di un quarto» e talvolta la precipita in basso, fino a toccare il fondo. Lungo il percorso incontra molte altre donne: donne abusate, donne rinchiuse, donne ritenute spiritate o folli – da Caterina da Siena a Giovanna d’Arco (a proposito di quest’ultima, Le Ditié de Jehanne d’Arc, scritto da Christine de Pizan nel 1429, ad oggi è l’unico poema composto quando l’eroina era ancora in vita). Così, l’esperienza la porta a riconoscere che tra un maschio e una femmina intercorre una differenza sostanziale: «a un maschio non occorre giustificare a se stesso una vocazione, un’inclinazione dell’animo, a un maschio non occorre giustificare a se stesso se stesso, poiché fin da bambino è educato a essersi amico. A una femmina invece occorre giustificare se stessa a se stessa con ragioni diverse dal proprio volere, poiché fin da bambina è educata a essersi nemica». Ecco perché risulterà ardua «la maternità di due parti, di libri e figli», mondi che appaiono, allora, inconcepibili. D’altronde «molte madri partoriscono figli e, fra queste, molte non partoriscono libri. Poche madri partoriscono libri e, fra queste, poche partoriscono figli». 

La lingua essenziale e spoglia che contraddistingue la narrazione, ulteriore, dichiarato omaggio a Natalia Ginzburg; la scelta autoriale di adottare il passato prossimo («il tempo più basso della letteratura») pur trattando una vicenda storica e di corte; la volontà di mettere a fuoco il profilo della protagonista attraverso la lente dell’inquietudine, concorrono a delineare il profilo di una donna che sembra arrivare dal futuro, non da un mondo a metà strada tra il Medioevo e l’Umanesimo. Per certi versi, l’operazione compiuta in Un giorno, una donna ricorda la vicenda del pittore Francesco Dal Cossa narrata da Ali Smith in L’una e l’altra

Quando il duca Filippo incarica Christine di redigere la biografia del re, la donna si domanda «se le nostre biografie possono esserci rubate e se è davvero possibile trafugare la biografia di qualcuno come un dipinto prezioso o un sacco di fiorini d’oro». Con queste parole, affidate alla protagonista, Nicoletta Bortolotti si interroga in realtà sulla natura del suo lavoro. «Ero una ladra di biografie?», fa dire a Christine. Che si tratti di deformazione o contraffazione, di furto o sostituzione, questo libro rende giustizia a un percorso inaudito e esemplare, inspiegabilmente passato sotto silenzio.