Giulia Cuter e Giulia Perona, autrici de Le ragazze stanno bene, hanno letto per noi Tutte le storie tristi sono false di Daniel Nayeri all’interno della challenge #NonUnUnicaStoria, un’iniziativa creata con l’obiettivo di conoscere i territori meno esplorati della letteratura di tutto il mondo.
Nel suo primo TED (poi divenuto anche un breve libro), intitolato I pericoli di un’unica storia, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie sostiene che raccontare storie crei stereotipi, non sono necessariamente falsi, ma che sicuramente sono incompleti. Riferendosi alla sua esperienza di lettrice da ragazza, afferma: «Io adoravo quei libri americani e britannici che leggevo. Colpivano la mia immaginazione. Mi hanno aperto nuovi mondi. Ma la conseguenza imprevista è stata che io non sapevo che le persone come me potessero esistere nella letteratura».
Una visione piuttosto sorprendente del potere della letteratura. Se come noi siete dei lettori appassionati, sarete certamente affezionati all’idea (se non fermamente convinti) che raccontare storie sia un modo per aprire finestre su mondi sconosciuti, per andare incontro all’altro e viaggiare oltre confini e barriere ーsiano esse fisiche o mentali. Quello che ci sta dicendo qui Adichie è, invece, quasi il contrario: la letteratura e le storie in generale sono sì potenti mezzi di conoscenza e immedesimazione, ma sono così potenti che il rischio che corriamo è quello di credere che i mondi da loro generati siano gli unici mondi possibili.
Questo ribaltamento del concetto di narrazione è qualcosa che troviamo anche in Tutte le storie tristi sono false, il romanzo dell’iraniano Daniel Nayeri e arrivato in Italia nella traduzione di Stefano Beretta a settembre 2021.
Daniel è un ragazzino iraniano che vive in Oklahoma. Il suo vero nome è Khosrou; in seguito alla conversione al Cristianesimo della madre è stato costretto a fuggire dal suo Paese di origine, prima in Italia e poi negli Stati Uniti, insieme alla famiglia. Il padre è rimasto in Iran, la madre si è risposata con un uomo violento. Daniel è passato da una vita piuttosto agiata in una famiglia della ricca borghesia iraniana, alla condizione di rifugiato, povero, malvisto e malvestito. E con un nome che non gli appartiene scelto per tentare di integrarsi meglio.
A scuola Daniel è quello strambo, con i vestiti di seconda mano e la schiscetta del pranzo che contiene cibi dal colore insolito e dall’odore poco invitante. Come la giovane Sharazad delle Mille e una notte, che racconta storie per salvarsi da una morte annunciata, così Khosrou per sopravvivere al bullismo dei compagni ripercorre le storie della sua famiglia, dei suoi antenati e del suo Paese: storie che raccontano la magia di Isfahan, la città dei ponti coperti, del fiume Aras, dei campi di zafferano e degli antichi tappeti persiani, ma anche storie di emigrazione, di sradicamento, di dolore.
Daniel cerca di preservare la sua memoria e quella della sua famiglia, una memoria lacerata dalla separazione e dalla fuga, perché, come dice lui stesso «Una storia rattoppata è la vergogna di un profugo». Vive un’esistenza in bilico tra il desiderio di non dimenticare le proprie origini e la necessità di andare avanti, di guardare al futuro. Dall’altra parte però, incontra solo ostilità e scherno: i compagni non credono alle sue storie, lo trattano alla stregua di un ciarlatano. Loro sono proprio le persone che sono cadute nel tranello dell’unica storia. Ragazzini americani, bianchi, ricchi, talmente abituati a vedersi rappresentati nei libri, al cinema, in televisione, da credere di essere l’unica realtà possibile. Talmente convinti di vivere nell’unico mondo possibile da mettere in dubbio qualsiasi racconto di Daniel.
Ma, se è vero che nel suo TED Adichie ci mette in guardia dal pericolo della storia unica, è sempre lei a darci la soluzione al problema: la soluzione sono le storie stesse, la nostra capacità di raccontarle e quella di ascoltarle. Più storie accogliamo, più diventiamo capaci di apprezzare le sfumature del mondo intorno a noi, più ci liberiamo di quella supponenza che ci fa credere che una storia sia legittima solo se in essa ci rispecchiamo completamente, solo se quella storia ha qualcosa da dire a noi, alla nostra individualità e non, se in generale è una storia che ha qualcosa da dire, fosse anche il contrario di quello che noi pensiamo. Lo dice la stessa Adichie, in questo passaggio: «Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dare forza e umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata».
Lasciateci fare una breve riflessione su qualcosa che ci sembra accadere spesso, anche tra i lettori, ovvero l’incapacità di percepire il proprio punto di vista semplicemente come una delle innumerevoli prospettive possibili. Prendiamo, per esempio, l’ultimo premio Nobel per la letteratura, assegnato nell’ottobre 2021 allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Gurnah è un autore attivo nel Regno Unito, che è stato tradotto in Italia solo molti anni fa; i suoi titoli sono oggi fuori commercio e praticamente introvabili. Anche nel momento in cui i suoi libri erano disponibili in libreria non è uno scrittore che ha mai suscitato particolare interesse nel nostro Paese. Ebbene, dopo l’annuncio della sua vittoria, in Italia in moltissimi si lamentavano dell’ennesima assegnazione del premio a un illustre sconosciuto. Come se la capacità dell’Accademia di Svezia di porre l’attenzione su letterature altre fosse un demerito e non un’enorme ricchezza per chi ama i libri.
Ma torniamo a noi, e a Tutte le storie tristi sono false. Oltre a scongiurare il pericolo di un’unica storia, in questo libro Nayeri fa qualcosa di più: il tipo di narrazione che l’autore costruisce è un racconto che potremmo ascrivere a quella che normalmente viene definita “letteratura migrante”. Daniel è un profugo e molto del suo racconto nasce dal desiderio di trovare il proprio posto nel mondo e dal suo essere costantemente alla ricerca di un luogo a cui appartenere. Le storie qui hanno quindi un ruolo fondamentale non solo per chi le ascolta, ma anche e soprattutto per chi le racconta. Forse i compagni di Daniel hanno ragione, forse non tutto quello che il ragazzo racconta è vero, ma nel corso del libro scopriremo che ciò che conta davvero delle storie di Khosrou non è tanto la loro aderenza alla realtà, quanto la loro capacità di farlo riconnettere alle sue origini in alcuni casi e di fargli trovare un legame con gli Stati Uniti in altri.
Le storie sono un ponte, uno strumento di connessione, sta a noi decidere come usarle. Per dirlo con le parole di Daniel, mentre spiega l’importanza de Le mille e una notte e quindi del suo racconto: “Il senso delle Notti è che se passassimo un po’ di tempo gli uni con gli altri ーse ci ascoltassimo veramente nei salotti della nostra mente e ci guardassimo come eravamo destinati a guardarciー allora ci innamoreremmo. Ci stupiremmo della bellezza con cui siamo stati creati. Non ci passerebbe mai per la testa di diventare re malvagi e non ci ammazzeremmo mai a vicenda. Tutto il contrario. Le storie non sono il punto centrale. Il punto è la storia della storia. Il passare del tempo. L’innamorarsi.”
Tutta la parte bella è in mezzo e attorno alle cose che accadono. È ciò che immagini di me quando non ti racconto una storia, ma restiamo seduti insieme in silenzio.
Non un’unica storia è una challenge di lettura lanciata da Senza rossetto, il profilo gestito da Giulia Cuter e Giulia Perona, nel 2021 in collaborazione con la giornalista Ludovica Lugli. L’obiettivo era quello di leggere nell’arco dell’anno più libri provenienti da più paesi del mondo possibile. Una volta al mese in diretta Instagram hanno raccontato le loro letture delle settimane precedenti e accolto consigli e segnalazioni da chi stava partecipando alla challenge. Per vedere temi e autori trattati potete visitare il profilo Instagram @senzarossetto, oppure cercate l’hashtag #nonununicastoria. Per maggiori informazioni potete scrivere a senzarossetto@querty.it