Una genealogia di amore e colpa: la Storia narrata dalle donne

Sale di mare e lacrime di Gabriela Garcia è un romanzo costruito su generazioni di donne legate da una parentela di sangue, di amore e di colpa


In che modo possiamo raccontare la Storia di un paese leggendola attraverso le lenti delle storie private di chi lo abita? Questa domanda sembra permeare le narrazioni contemporanee, che negli ultimi anni sono arrivate ad annullare la distanza tra Storia e storie, insegnandoci che è possibile mettere a fuoco la prima attraverso l’intrecciarsi delle seconde. 

Autobiografia, autofiction e fiction si sono così avvicendate per interrogare, demistificare, ridisegnare una storia collettiva che è il risultato di sguardi particolari, unici e individuali: in Europa è il caso dei romanzi di Annie Ernaux, che arrivano a delineare in modo quasi programmatico (come accade in Gli anni, ad esempio) la storia francese attraverso la narrazione della storia autobiografica dell’autrice. Lo sguardo di Ernaux offre inoltre un nuovo punto di ingresso costituito dal fatto di essere lo sguardo di una donna: un soggetto che si è storicamente visto privato della possibilità di scrivere e raccontare la Storia, un soggetto attraverso il quale leggere in modo inedito le vicende sociali e politiche di un determinato popolo e di un determinato paese. 

E cosa accade dunque quando il punto di vista già di per sé inedito di una donna sulla Storia si moltiplica, si va a stratificare in un romanzo corale che attraversa cinque generazioni diverse, a partire da metà Ottocento fino ad arrivare ai giorni nostri? 

Gabriela Garcia costruisce un romanzo familiare tutto al femminile, e da questa prospettiva guarda alla storia di Cuba e dei suoi legami con gli Stati Uniti. Sale di mare e lacrime si muove in modo non lineare tra passato e presente, lasciando che le varie voci si passino il testimone per comporre, poco a poco, il pezzo di un mosaico che restituisce in modo vivido la problematica del legame con la propria terra d’origine, il dramma delle leggi migratorie e dell’impossibilità di poter considerare il proprio corpo libero di circolare per il mondo, il senso di responsabilità che le madri sono portate a nutrire verso le proprie figlie e i sacrifici che sono disposte a fare per offrire loro una vita migliore di quella che hanno avuto. 

C’è María Isabel, che nel 1866 è l’unica donna a lavorare nella fabbrica di sigari di Camagüey; all’estremo opposto della linea temporale del libro c’è Jeanette, che cerca di disintossicarsi e di tornare a Cuba per cercare dei legami con il paese che la madre, Carmen, ha lasciato per andare a vivere negli Stati Uniti; e in mezzo ci sono Carmen, appunto, disperata per il futuro della figlia e arrabbiata con la madre Dolores e con la sorella Elena, a loro volta infuriate con lei per aver lasciato Cuba e aver rinnegato la terra natìa. Alle vicende di queste donne s’intrecciano anche quella di Gloria e di sua figlia Ana, che attraversano il calvario del rimpatrio dagli Usa verso il loro paese d’origine, la cui storia riporta alla mente dei lettori le vicende narrate in Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli.


Se il punto di vista con cui narriamo e ascoltiamo narrare la Storia è sempre univoco e onnisciente, il romanzo di Garcia, come i romanzi corali di questo tempo, coltiva il dubbio, la parzialità, rimettendo in discussione la possibilità stessa di una prospettiva unica da cui raccontare il presente e il passato. Il meccanismo narrativo, giocato in questo caso su piani temporali differenti, ricorda però da vicino quello messo in campo da Bernardine Evaristo nel suo Ragazza, donna, altro: anche nel caso di Garcia, le donne a cui viene data la parola nel romanzo, le loro storie, i loro punti di vista concorrono alla costruzione di un romanzo polifonico. La Storia si frammenta allora in tante piccole storie: la genealogia del presente diventa il risultato di fili tirati non solo in base ai legami familiari tra persone, ma anche in base a questioni d’amore, colpa e perdono.