una playlist lavorista

Work work work work work work

Una playlist antilavorista

Siamo creativi, dinamici, veloci, ma anche stanchi, esauriti, sempre sull’orlo del burnout. Come è successo che il lavoro prendesse il sopravvento su di noi? E come possiamo ripensarlo per non esserne più schiavi?
Queste sono alcune delle difficilissime domande a cui cercano di rispondere Andrea Colamedici e Maura Gancitano nel saggio Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo. 

Abbiamo preparato per voi una playlist che accompagna l’uscita del libro: ognuna di queste canzoni celebra un aspetto del lavorare, a volte con convinzione, a volte con un velo di ironia. Quindi le abbiamo ascoltate e abbiamo provato a smontare la retorica lavorista che portano avanti, che criticano, che mettono in musica.

Work – Rihanna feat. Drake 

Una canzone che gioca su un doppio senso ma che, ascoltata in cuffia, sembra quasi un mantra del lavorismo, un ipnotico inno, un rito ipnotico. Ripetiamo insieme workworkworkworkworkwork fino a quando le parole perdono senso e diventano solo un suono: forse per allora ci saremo liberati dell’imperativo morale lavorista.

A Hard Day’s Night – The Beatles

And I’ve been working like a dog. Ma perché tutta questa fatica? I Beatles ce lo spiegano subito: a casa c’è una donna che ti aspetta, e lavorare serve a permetterle di comprare tutte quelle belle cose che desidera. Eccolo qui, il lavoro come strumento di creazione delle gerarchie di potere che plasmano la società patriarcale.

Splash – Colapesce e Dimartino

A un po’ di anni di distanza, arrivano Colapesce e Dimartino a rispondere ai Beatles con una canzone che ricalca il modello di cui si parlava sopra ma ne mette in luce un altro aspetto: il lavoro qui diventa una scusa per non affrontare conflitti, per allontanare una sfera emotiva con cui non si è capaci di entrare in contatto. Un inno all’alienazione cittadina contemporanea: Ma io lavoro per non stare con te, preferisco il rumore delle metro affollate a quello del mare.

Chi non lavora non fa l’amore – Adriano Celentano

Ed eccolo il ricatto emotivo per eccellenza: lavorare serve a renderci più appetibili per possibili partner sessuali. D’altronde, per l’etica lavorista, non lavorare significa essere pigri, svogliati, inconcludenti. Nella canzone di Celentano, una moglie sciopera in risposta agli scioperi sostenuti dal marito sul lavoro. La soluzione però sembra semplice, ed è contenuta nella canzone stessa: Dammi l’aumento signor padrone, così vedrai che in casa tua e in ogni casa entra l’amore.

Shakira: Bzrp Music Sessions, Vol. 53 – Shakira e Bizarrap

Il lavoro come cura per le ferite: è diventato virale il pezzo di questa canzone in cui Shakira, accecata dalla rabbia per il tradimento di Pique, canta Las mujeres ya no lloran, las mujeres facturan, letteralmente: Le donne non piangono più, le donne fatturano. Alla base di questo verso c’è un discorso di empowerment che spalleggia con convinzione il mercato del lavoro neoliberale. Sei triste? Usa la tua carica di rabbia, risentimento, dolore per produrre di più.

Harder, Better, Faster, Stronger – Daft Punk

Più lavoriamo più siamo forti; più diventiamo veloci a lavorare, più siamo potenti; più lavoriamo duro, più arriviamo in cima. In una spirale da incubo, i Daft Punk ci avvolgono in una nube di ansia performativa che si fa sempre più cupa, fino a soffocarci sulla chiusa di questa canzone: Work is never over.

How Much A Dollar Cost? – Kendrick Lamar

Chiudiamo con una canzone conscious, che si pone quella che è la domanda: How much a dollar cost? Che prezzo paghiamo con il lavoro? In termini di tempo, di salute mentale, di ingiustizie sociali, della riproduzione di un sistema di potere. La canzone perfetta da ascoltare per mettersi a cercare la risposta alla domanda posta dal saggio di Colamedici e Gancitano: Ma chi me lo fa fare?