Monica Rametta, Roma era buia
“Nell’oscurità degli anni 70 la luce di Marina, tenera e fortissima protagonista adolescente di questo indimenticabile romanzo di Monica Rametta, porta un bagliore nuovo e inatteso. Una storia che è un’educazione all’amore, al sesso, e a tutte le prime volte, quelle che portiamo nel cuore e che per la magia e il talento dell’autrice ritroviamo in queste pagine come fossero nostre”
Ivan Cotroneo
Un assaggio del romanzo:
Quando parlavano tutti insieme nelle lunghe, continue, estenuanti discussioni in classe, Marina rimaneva in silenzio.
Le sembrava che non le venissero mai in mente cose intelligenti da dire. Restava zitta, seduta al suo banco, sperando che nessuno dei suoi professori le chiedesse di esprimere un’opinione. Nel tempo aveva messo a punto una tattica: si confondeva tra i suoi compagni di classe fino a rendersi trasparente e misteriosamente quell’operazione le era sempre riuscita. Almeno fino alla discussione di quella mattina, durante la quale Giulia aveva rivolto verso di lei i suoi occhi chiari, chiedendole a sorpresa il suo parere.
“E tu Marina, cosa ne pensi?”
In classe era calato il silenzio, o almeno così era sembrato a Marina. Lei aveva deglutito e per un momento in bocca non le era rimasta neanche un po’ di saliva, aveva scosso la testa e con un filo di voce aveva mormorato: “Niente”.
Giulia l’aveva guardata ancora, forse, ma non ne era sicura, aveva anche sorriso e poi aveva riformulato la domanda in modo diverso, con una dolcezza ancora maggiore e con una nota di stupore: “Davvero non pensi niente, Marina?”.
Il problema era delicato. Molto delicato. Il pensiero che si richiedeva a Marina riguardava una questione difficile che coinvolgeva Giulia in prima persona: il suo metodo di insegnamento. Lì, in quella classe di seconda del liceo scientifico Gramsci, un gruppo di ragazzi stava mettendo in dubbio le capacità professionali e umane della professoressa. Quei ragazzi, appollaiati come tanti avvoltoi sui banchi e sulle sedie disseminate disordinatamente nell’aula, avevano puntato il dito contro di lei; e sembrava che tutti fossero d’accordo. Erano contrari ai voti che Giulia aveva appena scritto a penna sui loro compiti in classe. Non erano d’accordo su quelle valutazioni, non le riconoscevano il diritto di giudicarli. Meritavano la sufficienza: il sei politico, questo era quello che pretendevano.
Giulia li guardava meravigliata. Erano gli stessi studenti che si portava dietro ormai quasi da un anno, gli stessi con cui la mattina andava al bar a fare colazione, a cui offriva le sigarette, gli stessi con cui aveva camminato fino alle torri di San Gimignano sotto la pioggia durante un’avventurosa gita scolastica in cui due di loro si erano persi per le campagne toscane, spiegando poi di essersi allontanati con la volontà di sparire. Gli stessi ragazzi che ogni mattina trovava avvinghiati nei corridoi scolastici a baciarsi come se tutto, lì dentro, fosse consentito. Ora ce li aveva contro.
Marina avrebbe voluto difendere Giulia. Si immaginava di alzarsi in piedi e lanciarsi in un’arringa calda e un po’ lacrimevole in suo favore: avrebbe liquidato i compagni di classe e le loro pretese con due battute pungenti per poi rivolgersi a Giulia, spiegandole quanto fosse importante trovarla in classe ogni mattina, quanto fosse rassicurante saperla dietro quella cattedra e che il solo pensiero, la sola prospettiva che lei se ne potesse andare l’atterriva al punto da non poterla nemmeno prendere in considerazione. Ma la sua mente era diventata di colpo una pagina bianca, una serie ininterrotta di linee e di punti e non c’era modo che una sola parola, una frase di senso compiuto uscisse dalla sua bocca. L’unico segno di reazione era un rossore che via via si faceva sempre più acceso e le colorava senza scampo le guance. Almeno era il segno tangibile che qualcosa si muoveva dentro di lei e che non era completamente inerte.
La domanda che non aveva avuto risposta continuò a galleggiare ancora per qualche attimo nell’aria, poi svanì. Giulia distolse lo sguardo da Marina e lo rivolse verso l’aula intera. Scrutò i suoi carnefici e gli occhi gradualmente le si riempirono di lacrime. Il suono della campanella spezzò il silenzio, teso. Rumori di sedie e banchi strattonati. In un attimo l’atmosfera era cambiata. Tutti erano in piedi, si avviavano veloci verso l’uscita afferrando al volo i libri, le borse, parlando di altro.
Anche Marina si era alzata, seppure con più calma dei suoi compagni. Avrebbe voluto dirle qualcosa adesso, erano rimaste sole e Giulia non la guardava più mentre raccoglieva gli oggetti sulla cattedra. Invece Marina rimase in silenzio ancora una volta e uscì dall’aula con una sensazione di vuoto e di tristezza dentro di sé. Una sensazione che in seguito avrebbe provato spesso nella vita.