Il romanzo di formazione che non ti aspetti

Chi lo ha detto che l’età adulta è il momento in cui si raggiunge la stabilità? L’opposto di me stessa di Meg Mason racconta di chi si è perso, e dei tentativi che fa per ritrovarsi; un romanzo di formazione anche, perché no?, per chi ha 40 anni.


Alla sua festa di quarant’anni, Martha lascia andare tutto: lascia andare il suo matrimonio con Patrick, lascia andare la sua voglia di stare in mezzo alle persone, lascia andare la vita che stava vivendo tenendola cucita insieme con il punto imbastitura. Si lascia andare in pezzi. Alla fine della festa, tornati a casa, Martha e Patrick litigano, lui se ne va, lei rimane sola. E ora?

«Nessuno immaginerebbe che per la maggior parte della mia vita adulta, e per tutta la durata del mio matrimonio, io abbia cercato di diventare l’opposto di me stessa». Meg Mason decide di raccontare la storia di Martha facendo parlare la sua protagonista in prima persona: ne risulta un romanzo schietto come solo una lunga confessione può essere, l’analisi di un fallimento condotta con rigore e senza alibi dalla donna che è protagonista e insieme artefice del fallimento stesso. Un romanzo di formazione a 40 anni, appunto, che aggira i cliché della crisi dell’età adulta scartando il racconto di barattoli di gelato consumati di fronte alla televisione ma addentrandosi invece nella solitudine e nell’impotenza che si prova quando si dichiara lo smarrimento. 

Se da tradizione il romanzo di formazione si configura come la narrazione del protagonista nel suo viaggio verso la maturità e l’età adulta, questo aspetto del genere decade di fronte a una contemporaneità in cui l’accezione del termine “adulto” si modifica, così come i confini dell’idea di maturità. Non solo: se guardiamo ai romanzi di formazione che hanno come protagoniste delle donne, ci rendiamo conto che spesso la narrazione classica promuove l’integrazione di figure che devono affrontare prove e accettare compromessi in vista di un’assimilazione nei canoni e negli standard sociali. Pensiamo alle sorelle March in Piccole Donne di Louisa May Alcott o ancora alle sorelle Bennet in Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen: in entrambi i casi, le ragazze protagoniste dei due romanzi sono chiamate a venire a patti con parti di loro stesse per riuscire a integrarsi nelle convenzioni sociali della vita adulta. Ma cosa accade invece quando il romanzo di formazione si distacca dall’idea di un percorso lineare, fatto di prove e tappe, e si scontra con una realtà più arzigogolata e instabile? È in questo contesto che nascono narrazioni come Fleabag, la celebre serie di Phoebe Waller-Bridge che ha per protagonista una giovane donna e la sua profonda crisi. Oppure, appunto, il libro di Mag Mason, che sembra proporre delle analogie con la serie televisiva nel suo impianto narrativo, nei toni e nelle relazioni che intercorrono tra i vari personaggi. 

Quando il matrimonio con Patrick, che è nella vita di Martha da quando sono ragazzini («come il divano della casa in cui passi la tua infanzia. La sua esistenza è un dato di fatto. Non ti chiedi mai quando o come sia arrivato lì, perché non hai ricordi di un momento in cui non ci sia stato»), si incrina, la protagonista smette di essere una moglie e torna a essere una figlia e una sorella. Questo per lei vuol dire confrontarsi con una famiglia disfunzionale: sua madre Celia Barry, alcolista e scultrice «di second’ordine», come l’ha definita un articolo sul «Times», e suo padre, Fergus Russel, un poeta che a diciannove anni ha ricevuto un anticipo per un libro d’esordio che non ha mai pubblicato. Gli adulti fragili e imperfetti che circondano Martha non sono poi un buon sostegno per chi sta cercando di non andare in frantumi: a fare da stampella al crollo della donna c’è (c’è sempre stata) Ingrid, sua sorella. E L’opposto di me stessa è un romanzo che al centro pone anche la sorellanza, intesa nel suo senso più alto e complesso: la capacità di starsi accanto, nonostante tutti i piatti lanciati, e la fatica – uno dei cardini portanti di Fleabag, per ritornare al parallelismo tra le due narrazioni. Con l’aiuto di Ingrid, Martha può interrogarsi sui nodi fondamentali del suo essere una donna adulta: il rapporto con la maternità, il desiderio di essere madre ma anche la paura, e il timore (ma anche a volte: la smania) di lasciarsi definire da questa scelta. 

E poi, la malattia: uno spettro che si aggira nella testa di Martha così come nelle pagine del romanzo, sempre presente e mai nominata. Anche quando Martha riceverà una diagnosi psichiatrica, tra le frasi di Mason non troveremo mai il nome di ciò di cui soffre, solo un “-”, una parola espunta dal testo. Ed è questo che fa de L’opposto di me stessa un libro – amaro e divertentissimo, crudele e leggero – con cui è difficile non empatizzare. Un libro che sembra accordarci il permesso di lasciarci andare in pezzi: proprio perché il romanzo di formazione non finisce con l’adolescenza, ma può essere scritto e riscritto anche nell’età adulta, proprio perché i pezzi si possono raccogliere e ricombinare insieme, per mettere insieme una nuova figura di noi stessi: che non sia l’opposto, ma qualcosa di più vicino a ciò che siamo veramente.