Un classico della letteratura femminista, non solo svedese

A proposito di Il pennino di Elin Wägner

Lo ammettiamo: non scopriamo Elin Wägner per la prima volta. Ma allora com’è che continua a coglierci di sorpresa? Di Ragazze di città (Harper Collins Italia, 2022), sorprendente romanzo d’esordio con cui la scrittrice svedese, nel lontanissimo 1908, si fece conoscere al grande pubblico, avevamo detto: sembra ambientato in pieno Novecento, non più di cento anni fa! E qui, a costo di risultare monotoni, siamo costretti a ripeterci. Perché Il pennino, il romanzo pubblicato appena due anni dopo, nel 1910, che venne subito definito «la Bibbia delle suffragette», è, in ordine sparso, un magnifico ritratto di vita femminile comunitaria, un inno dirompente all’amore libero e all’amicizia tra donne, un moderno romanzo di città.

La protagonista del romanzo, Barbra Magnus, da tutti conosciuta come Pennino, è una giovane giornalista e suffragista, che quando non si guadagna da vivere correndo da una parte all’altra per scrivere articoli di cronaca, di costume, fittizie Lettere al Direttore e inchieste, si batte per il movimento di emancipazione femminile che concentra gran parte delle sue attenzioni attorno alla campagna per il diritto femminile di voto. È una donna emancipata, libera e dissacrante: quella «da cui tutte le madri mettevano in guardia i loro giovani figli, maschi e femmine». Brillante e ironica, determinata e per nulla intimorita all’idea di risultare irriverente. Una via di mezzo tra Pippi Calzelunghe e Virginia Woolf. Alla domanda «Cosa preferirebbe avere, Pennino, il diritto di voto o un cappello nuovo?» risponde senza mezzi termini: «Non voglio avere nessuno dei due. Perché voglio guadagnarmi da sola sia il diritto di voto che il cappello». 

A ripercorrere il profilo biografico dell’autrice, viene da pensare che ci sia molta Elin Wägner in Pennino: tra le primissime giornaliste svedesi, Wägner è stata una figura di primo piano del movimento suffragista, oltre che attivista per la pace ed ecologista ante litteram, scrittrice di successo e intellettuale a tutto campo. Ci sono il suo impegno, il suo credo e la sua infaticabile dedizione dietro molte delle riflessioni che si scambiano le donne del romanzo. Una su tutte, per voce della protagonista: «Se c’è una cosa che ho imparato dalle discussioni sull’emancipazione femminile, è che non c’è niente che le donne si siano lasciate alle spalle nella loro evoluzione, che non sia stato un tempo definito inevitabile». D’altronde, come ricorda Camilla Storskog nell’introduzione al romanzo, tra le avventure intraprese da Wägner c’è anche la Scuola di Fogelstad, un luogo di incontro che per oltre trent’anni (dal 1925 al 1954) organizzò corsi di formazione «per istruire le nuove cittadine svedesi su temi quali organizzazione statale, giurisdizione, retorica, pacifismo, psicologia, religione, arte, letteratura, salute e sessualità, con lo scopo di rendere le donne consapevoli del loro ruolo nuovo nella società».

Il Pennino, che scatenò fin da subito un acceso dibattito, consacrandosi come opera di successo ma anche come scandalo, contribuì a rendere popolare la figura della suffragista. E pur presentandosi come un’evoluzione naturale di Ragazze di città, rispetto a quest’ultimo appare più votato alla vita comunitaria cittadina, costellata di impegni, attività, frequentazioni. Così, se le stanze buie dell’appartamento di Nortullsgatan che ospitava le Ragazze di città ritornano, per certi versi, negli ambienti comuni del pensionato su cui si apre la vicenda, non stupisce che quest’ultimo venga presto abbandonato in favore di case o stanze private da arredare e ripensare secondo il proprio gusto e la propria sensibilità. 

È nello spazio collettivo della città di Stoccolma che le donne esercitano le loro professioni, che ridefiniscono il proprio ruolo e cercano la propria indipendenza. Non senza difficoltà, perché è evidente che conciliare ambizioni individuali e di gruppo, vita pubblica e contesto famigliare, non è semplice. E tuttavia sono consapevoli che tra di loro possono sempre far leva su un sentimento – quello dell’amicizia – che non conosce limiti anagrafici, sociali, economici o culturali. Così questo romanzo, con cui Elin Wägner va «ben oltre l’esperienza personale» e apre «una finestra sulla condizione femminile d’inizio Novecento», non è soltanto il romanzo di Pennino, ma è anche, soprattutto, quello dell’amica Cecilia Bech, della suffragista Ester, della domestica Kristin, della compagna d’infanzia Klara, della principessa Charlotte.