Infinitamente sole

    di Paola di Nicola


    Sono circa sette milioni gli uomini italiani che potrebbero essere autori di violenza contro le donne. I numeri, invece, ci dicono che nel 2015 sono state denunciate solo 21.305 persone, nel 42,5 per cento dei casi si è intrapresa l’azione penale, cioè si è avviato il processo, mentre per quasi il 60 per cento il processo non inizierà mai, la denuncia è rimasta lettera morta. Chi riesce ad arrivare davanti ai tribunali vede la condanna nella metà dei casi. Questo dato tiene conto anche del fatto che le assoluzioni per le violenze in famiglia a Trento sono solo il 12 per cento mentre a Caltanissetta arrivano al 43,8. Poiché i numeri anche questa volta urlano, vuol dire che un ruolo essenziale lo hanno la competenza e la capacità del giudice, della giudice, di leggere le carte dei processi di violenza, spesso anche i silenzi e le omissioni dei loro protagonisti. Sono processi in cui nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno ha capito. Come quelli di mafia.

    Sono processi senza testimoni, in cui c’è la mia parola contro la tua, in cui accade anche, come visto, che la madre della vittima, e talvolta la stessa vittima, difendano l’autore del reato. Ma questo non vuol dire affatto che egli non sia responsabile di quei crimini e che non possa essere condannato. Allora si deve scavare e scavare, leggere negli sguardi e interpretare le mani che si contorcono, capire da una frase qual è il contesto culturale in cui tutto si muove e si nasconde, disvelare gli stereotipi nei comportamenti dei protagonisti, in cui questi si riconoscono e si sono tenuti insieme: l’uomo lavora ed esce con gli amici; la donna ha lasciato il lavoro, pensa alla casa e si occupa dei figli. Già questo è un dato da cui partire. Ma qualcuno chiede alle donne vittime di violenza perché non lavorano? Chi le ha convinte e come a occuparsi solo della famiglia dopo anni di studi universitari e di master? Se escono con le amiche e hanno il potere di gestire autonomamente il conto corrente? Solo partendo da qui si può iniziare a entrare in quella famiglia, in quell’assetto di potere, in quella rigida divisione dei ruoli per capire come è stata costruita. È solo da qui che si può leggere l’inizio della violenza.

    Ma ci vuole coscienza, competenza e una visione culturale ampia. I codici non bastano. Per questo sono processi difficili, i più difficili. Ritirare la querela, ritrattare, non comparire in udienza è uno degli indici più gravi della violenza subita dalla vittima e della certezza del suo ripetersi. Di solito questo avviene a causa del livello pressoché assoluto di sudditanza psicologica con il carnefice, ma anche per evidenti ragioni pratiche. La donna maltrattata infatti non ha soldi, spesso ha dovuto abbandonare il lavoro per non esacerbare la violenza del partner, non sa dove andare, ha paura per i figli, ha nascosto l’abuso a tutti, quindi è isolata e non può chiedere aiuto, se ne vergogna. Queste le ragioni per cui torna dall’uomo che la picchia e che – lei sa bene – continuerà a farlo.

    Non è pazza né masochista, è drammaticamente sola di fronte all’ipocrisia di tutti coloro che le sono intorno. Se poi è una donna autonoma economicamente, con un lavoro riconosciuto e gli strumenti culturali per capire e accorgersi di quello che le accade è ancora più sola, nessuno le crederà mai. Svelare l’assoggettamento è devastante per chi ne è vittima, non solo per il rischio concreto alla vita propria e dei figli, ma perché mette in crisi un universo affettivo e di relazioni sul quale si è vissute da sempre.

    È un magma incandescente che rende difficile, anzi difficilissimo, aprire gli occhi sulla propria mancata resistenza. E allora le botte diventano nervosismo momentaneo, i divieti continui rispetto a qualsiasi ambito della vita si fanno gelosia, l’obbligo ad abbandonare il lavoro diventa attenzione
    per i figli, e così all’infinito.

    Paola di Nicola è magistrato dal 1994. Dal 2010 è giudice penale presso il Tribunale di Roma e da luglio 2020 è consulente giuridica della Commissione sul femminicidio del Senato. Per HarperCollins Italia ha pubblicato La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio. Questo articolo ne è un estratto.