Tre libri per guardare il nostro pianeta da diverse prospettive
Chissà come se la immaginavano questa Terra i primi esseri umani che l’hanno abitata: magari pensavano che finisse lì, all’altezza di quegli alberi che riuscivano ad abbracciare con lo sguardo. O ancora più in là, dove la linea del cielo e quella del mare si congiungevano, creando un confine – lo stesso confine che poi, una volta superato, ha fatto pensare ad altri esseri umani che la forma piatta non fosse poi quella giusta.
E chissà ancora come sarebbe guardarla da dentro, dal suo nucleo caldo, attraverso gli strati che racchiudono una storia antichissima, fino ad arrivare a quelli che parlano di una storia molto recente: gli strati di cemento che la ricoprono nella sua parte più superficiale. E poi: dall’alto, dall’universo profondo, scrutare questa palla di oceani e terre emerse, vedere le nuvole, coglierne i bagliori artificiali.
Abbiamo molti modi di raccontare la Terra; ciascuno di essi risponde a una scelta di prospettiva precisa, che incarna una serie di posture ideologiche. Una prospettiva cronologica è quella scelta da Andrew H. Knoll per il suo Breve storia del nostro pianeta: una cavalcata che inizia 4,6 miliardi di anni fa e approda alla Terra che conosciamo oggi. Una storia che somiglia a un film hollywoodiano (ne avevamo parlato qui, ricordate?) che ci aiuta a renderci conto di quanti cast sono cambiati in questa lunga produzione da kolossal: quante specie sono arrivate e parevano immutabili, e poi si sono trasformate, sono cambiate, quando non si sono addirittura estinte. La prospettiva cronologica ci mette di fronte a una constatazione: la storia della Terra esiste su una scala temporale completamente diversa rispetto a quella in cui si è svolta la storia della nostra specie su questo pianeta. Che effetto ci fa questa consapevolezza? Che effetto ci fa togliere gli occhiali dell’antropocentrismo e guardare tutto questo da un’altra prospettiva?
È certamente una sfida impegnativa, come quella che ci viene lanciata anche da Simon Mundy, e che dà il titolo al suo saggio: Sfida al futuro, un vero e proprio viaggio attraverso un mondo che sta vivendo la crisi climatica. Le narrazioni sulla crisi climatica sono ormai all’ordine del giorno; spesso però ci arrivano come presagi distanti, minacce di cui non cogliamo la reale portata, nonché le reali conseguenze nella vita delle persone che popolano questo pianeta. Da una prospettiva questa volta geografica, Mundy costruisce una vera e propria mappa della crisi climatica, entrando in contatto con comunità e realtà sparse per il mondo e raccontando le conseguenze di questo fenomeno da un punto di vista economico, sociale, politico. Attraverso il suo viaggio entriamo in contatto con persone che non solo affrontano problemi, ma mostrano soluzioni: offrono prospettive concrete per ripensare il futuro, in modo da non lasciare la narrazione della crisi climatica paralizzata dalla paura, dall’ecoansia, dallo smarrimento. In modo da trasformarla in una narrazione di futuri alternativi, altri modi possibili di vivere sulla Terra, con la Terra.
Il nostro pianeta ci affascina così tanto che non riusciamo a non cercarlo altrove: nelle galassie più lontane, che esploriamo chiedendoci “esisterà un’altra Terra?”. Una vera e propria ossessione che l’astrofisico Giovanni Covone ha raccontato attraverso il suo saggio Altre Terre, passando in rassegna scoperte astronomiche del passato e attualissime, con la volontà di indagare il rapporto tra la specie umana e il pianeta che abita, e ancora tra la specie umana e il cosmo. Il desiderio e il brivido di non volerci sentire soli nell’Universo, la curiosità di immaginarci altrove, la paura di non avere altra casa che quella che abitiamo: che potrebbe essere l’unica, e che ha bisogno delle nostre cure.